Dopo la battaglia di Himera, Gela visse un periodo di pace lungo 74 anni. In quel periodo Gela si arricchì con i commerci degli abbondanti prodotti che la terra della piana riusciva a dare sotto l’operato degli schiavi cartaginesi. Questa abbondanza e la vita senza pericoli immediati fece sì che i costumi degli abitanti fossero cambiati, trascurando l’esercizio delle armi e godendo di una vita sociale fatta di spettacoli e dispute politiche che sotto i demagoghi era alimentata.
Questo tenore di vita non fece ben valutare il terribile pericolo che la presenza dell’esercito cartaginese, venuto per vendicare la sconfitta di Himera e conquistare il suolo della Sicilia, comandato da Annibale ed Imilcone, costituiva. L’esercito cartaginese si riprese dopo aspre battaglie le città di Selinunte ed Himera e marciò verso Agrigento che cinse d’assedio e dopo otto mesi la conquistò mettendo i suoi cittadini in fuga verso Gela.
Annibale mori durante l’assedio di Agrigento dilaniato da febbre malarica, lasciando così ad Imilcone il comando supremo dell’esercito Punico. Imilcone dopo aver distrutto e rasa al suolo Agrigento volse col suo esercito alla volta di Gela e piantò il suo campo di guerra a nord della città nei pressi del fiume e lo protesse con dei fossati e palizzate.
Era la primavera dell’anno 4° della 93.ma Olimpiade (405 A. C.).
I geloi stretti d’assedio chiesero aiuto a Siracusa, che preoccupata per l’avanzare dell’esercito Punico spedì a Gela Dionisio, giovane generale, con 2.000 fanti e 400 cavalli.
Arrivato a Gela, Dionisio ebbe un incontro con la plebe la quale accusava l’aristocrazia di aver trascurato la difesa della città perché privilegiava divertirsi con gli spettacoli.
Dionisio condannò questi comportamenti e fece mettere a morte i responsabili, confiscando i loro beni che distribuì ai soldati. Poi cercò una intesa con il comandante Dexippo, che stava gestendo la difesa della città, ma senza risultato.
Ritornò a Siracusa per riferire quello che stava succedendo a Gela e i siracusani, allarmati dell’avanzata del nemico, diedero pieni poteri militari a Dionisio, il quale organizzò un esercito di 50.000 uomini e 50 navi per fare ritorno verso Gela.
Ma le mire di Dionisio erano quelle di impadronirsi del potere a Siracusa, e per far ciò aveva bisogno che la città sentisse estremamente il bisogno del suo operato, quindi lasciò al suo destino la città di Gela, aspettando che cadesse e Siracusa per timore di una sua invasione da parte delle truppe Puniche consegnasse a lui il comando supremo della città.
Dionisio lavorava a questo suo progetto e per riuscirci cominciò ad eliminare fisicamente a ad allontanare chi gli poteva contrastare questo suo disegno. A Siracusa, con calunnie varie, fece mettere a morte Dafneo e Demarco e fece esiliare a Gela Dexippo che fu spedito a Sparta.
Dionisio arrivò a Gela con 50 navi (come riferisce Diodoro Siculo – XIII, 108-III) quando oramai le forze geloe erano fortemente debilitate. Dopo circa dieci gioni decise di attaccare contemporaneamente in tre punti diversi il campo cartaginese, da est, da ovest e una parte dal centro comandatata proprio da lui.
Ma il suo piano non ebbe successo e quando si trovò dentro le mura geloe non volle uscire in campo aperto per affontare i cartaginesi. Nottetempo, lasciando i fuochi accesi per far credere ai cartaginesi che la città era presidiata da forze militari mise in atto un piano per la ritirata.
I geloi nel frattempo si difendevano con grande coraggio e quando potevano facevano delle sortita nel campo cartaginese uccidendo quando più nemici era possibile. Conoscendo la crudeltà dell’esercito Punico i geloi organizzarono una spedizione di donne, (approfottando delle navi di Dionisio) vecchi e bambini verso luoghi a loro più sicuri, ma le donne non vollero allontanarsi dalla madre patria e riunitesi in un tempio, attorno all’altare, giurarono tutte insieme di rimanere, combattere accanto ai loro uomini e di morire per la salvezza della città. Esse rimasero in mezzo all’aspra battaglia e mentre i vecchi approntavano le armi ai valorosi difensori, esse, novelle Amazzoni, standosene sopra le mura rincuoravano i loro cari e uscivano in campo aperto a raccogliere i feriti che poi curavano amorevolmente.
Ma tanto eroismo non potè fermare l’avanzata del nemico e Gela cadde nelle mani dei Punici, l’immanis Gela, la potente metropoli di Agrigento, di Camerina, di Leontini, di Callipoli, di Ergezio e di Zanche, venne cosi distrutta dai cartaginesi, depredata e messa a fuoco.
Il benessere e una vita fatta di godimenti aveva loro fatto dimenticare che la libertà va difesa in ogni tempo e che bisogna farsi trovare sempre ben preparati.