Pesca

inizio lavori porto rifugio

Inizio dei lavori al porto rifugio – Ditta Spatola

 

Il Porto

La storia della città di Gela è iniziata dal mare e dalle acque del nostro mare i gelesi tessero inizialmente vita e nutrimento e dispiegarono il loro commercio sin da quando i primi colonizzatori (i Rodio-Cretesi) la fondarono nel 689 a.C. Col passar dei secoli, i gelesi, pur confermando la loro vocazione di agricoltori e la loro esperienza nel campo della pastorizia, continuarono a dimostrare il loro attaccamento al mare e centinaia di barche e di velieri popolarono la spiaggia di Gela fino alla seconda Guerra Mondiale.
Il commercio via mare (di grano, vino, cotone, scope ed altro) con le città bagnate dal mediterraneo era ovviamente preferito dai proprietari di velieri; e il bisogno di possedere un porto locale si senti subito, sin dalle origini della città. Da recenti studi si è avuta conferma che nei pressi dell’ex Reale Caricatoio esistono resti di un antico ricovero marittimo, dove gli antichi Geloi custodivano le loro imbarcazioni. Gli antichi romani lo denominarono “Refugium Gelae”. Nel Medio Evo sorse nelle sue vicinanze un “Caricatoio”, detto anche Licea (che significa comprare), che era costituito da diversi magazzini sulla spiaggia. Sulla collina Terranovese, invece, erano stati costruiti dei granai (Silos) che comunicavano con i magazzini della sottostante spiaggia per mezzo di un canale in muratura, attraverso il quale si facevano all’occorrenza scivolare i cereali contenuti dentro i sacchi. Il grano veniva così caricato sulle barche e trasportato secondo gli accordi commerciali a Malta, a Tunisi, a Tripoli in Libia e in altre città rivierasche del mare nostrum
Ma l’aspirazione legittima, sempre viva nel cuore dei cittadini locali, era quella di possedere un porto. Gli antichi documenti pervenuteci, che fanno cenno del “Refugium Gelae”, sono: “Gli itinerari” dell’imperatore Antonino e una vecchia carta geografica della Sicilia disegnata sotto l’Impero Romano. Ricordiamo che nel 413 a.C. l’antica Gela fece partire dal suo “Refugium” marino una flotta per Siracusa contro gli ateniesi. Altra importante data storica è quando Gelone. nel 483 avanti Cristo, trasferì la sede del suo governo da Gela a Siracusa, a quanto pare per il bisogno di offrire un adeguato porto alla sua flotta di guerra. Altri cenni storici sul porto di Gela: nel 1854 il governo borbonico mandò a Terranova l’ing. Colucci, per studiare un progetto per la costruzione di un porto. ma i successivi avvenimenti politici e cioè la caduta del governo borbonico seppellì quella iniziativa. nel 1861, la nascita dell’unità d’Italia, la città di Terranova ricevette la promessa del porto, che però non fu fatto, e i terranovesi invocarono la ricostruzione del vecchio “Refugium”.
Nel 1868 si offrì una buona occasione alla città di Terranova e cioè nelle elezioni politiche di quell’ anno si presentarono due candidati nello stesso collegio: il terranovese Di Menza – Vella e il licatese cav. De Pasquali. I cittadini di Terranova, per mancanza di solidarietà civica, non fecero eleggere il loro candidato ( e dunque bocciarono la nascita del porto locale); i licatesi, concordi e uniti, votarono per il proprio concittadino ed ottennero un deputato e il porto. E ancora: nel 1870 il Governo mandò a Terranova l’ing. Chiavazzi, che studiò il problema del costruendo porto; scartò l’idea del ripristino dal “Caricatoio” e consigliò il progetto dell’ing. Colucci. Poi ogni cosa si disperse nei meandri della burocrazia e il progetto del porto…. affondò ancora. Si tornò a parlare del porto nel luglio del 1884, col riordinamento dei porti del Regno. Più tardi, nel 1903, dei funzionari governativi vennero a Terranova per… scrutare con dei cannocchiali delle pietre di “Licea”. Ma dopo qualche giorno sparirono, come neve al sole, senza far sapere i risultati dei loro studi. Nel 1912, dopo tante petizioni in carta bollata, Roma concesse a Gela, per interessamento dell’on. Vassallo, la costruzione di un “pontile sbarcatoio” in cemento armato. Fu una situazione di ripiego, che venne accolta con un sospiro di sollievo dalla marineria gelese. Sindaco di Terranova era allora l’avv. Antonio Giurato; il progetto del pontile pare sia stato redatto dall’ing. Bruno. All’inizio, il pontile misurava la lunghezza di duecento metri; più tardi venne prolungato di altri 170 metri e dotato di due gru per le operazioni di carico e scarico.
La costruzione dell’intera opera venne a costare trecentomila lire. Nel 1920 Roma inviò a Terranova l’ing. Musumeci, che dopo avere effettuato attenti studi dei venti sulla nostra spiaggia, elaborò un suo progetto per la costruzione del porto, che sarebbe dovuto sorgere sulle basi del… vecchio <<Refugium>> e cioè a ovest della città, con due tratti a gomito per scongiurare la risacca. Si ritornò a parlare del porto con tanta speranza. Ma dopo la partenza dell’ing. Musumeci e dopo un’attesa durata vari mesi, cadde ancora una volta il silenzio sul porto locale. Penultimo atto della storia (o della commedia) del porto nostrano si registra nel 1925, quando si fecero le ultime elezioni politiche con il “listone” fascista. Il partito mussoliniano lo promise e sorsero addirittura vicino all’ex Reale Caricatoio delle rotaie sulle quali una <<decouville>> venne caricata di pietre trasportate coi camion da San Leo. Venne pronunciato il discorso d’occasione dal dott. Calandra, davanti a un folto pubblico, tanta esultanza, sparo di mortaretti, commozione generale.
Ma dopo le elezioni, si tolsero le rotaie della “decouville” e ancora una volta il tanto sospirato progetto del porto naufragò in un mare di belle parole. I tempi mutarono nel 1952, quando l’on. Salvatore Aldisio, “santo protettore” della nostra città, venne eletto ministro del LL.PP. realizzando il tanto vagheggiato sogno dei gelesi. Il progetto venne steso dal prof. Giuseppe Strongoli; la ditta appaltatrice fu l’impresa Lavori Porto Catania, che costruì i due moli principali sotto-flutto e sopra-flutto. Sul molo trasversale allestì le “bitte” e gli “anelloni” di ormeggio. La realizzazione del porto, un sogno inseguito dai gelesi da tanti secoli, dimostrò quasi subito la sua grande utilità: senza l’allestimento del porto rifugio a ponente, infatti, non si sarebbe potuto costruire il porto industriale del complesso petrolchimico dell’Eni.

Fonte: Guardia costiera – Gela

capitaneria di porto gela

Capitaneria di porto


cantiere navale

cantiere navale


Barche ricoverate in cantiere

Barche ricoverate in cantiere

Marineria

Essendo la nostra città bagnata, a sud, dal mare Mediterraneo c’erano tra i suoi abitanti un gran numero di “marinara” cioè marinai.
Con questo titolo venivano indicati, genericamente, quelle persone che trovavano il loro guadagno lavorando sul mare.
Ma tra i “marinai” bisognava fare una distinzione ben precisa per indicare meglio il mestiere.
marittimi, cioè coloro i quali esercitavano il mestiere di marinaio come imbarcati, per periodo più o meno lunghi, prima sui bastimenti a vela e successivamente, sui motovelieri che svolgevano la loro navigazione per tutte le rotte del mondo.
pescatori erano quei marinai imbarcati nei velieri o motovelieri che andavano o per una campagna di spugne o per una campagna di pesca, nel bacino del mediterraneo.
Infine i raittera erano i rivenditori di pesci.

Marittimi

Questi marinai, in un primo tempo non ricevevano una paga fissa, ma venivano imbarcati “a parti” cioè una volta compiuto il viaggio e ricevuto il relativo “nolo” o prezzo pattuito per il trasporto, tolte le spese sostenute e la parte spettante al veliero, veniva pagato il marinaio per la “parte” spettantegli anche perché al “capitano” e comandante spettava qualcosa in più del Nostromo e della ciurma comune.
Questa consuetudine rimase fino a quando prevalse il “contratto nazionale” con pagamento mensile. Molti marinai si recavano presso le grandi società armatrici, che avevano sede nei grandi porti come Genova, Napoli, Trieste, Venezia ecc., dove si iscrivevano per il turno di imbarco, trovando così lavoro sui piroscafi che facevano e fanno rotta per tutti i mari del mondo.
Molti di questi marinai sbarcavano, clandestinamente, nell’America del Nord e restavano lì a lavorare per guadagnare, a prezzo di enormi sacrifici, qualcosa in più; lavoravano clandestinamente senza “socy securety” cioè senza assicurazione fino a quando riuscivano, sposando una del luogo, a regolarizzare la loro posizione di immigrati clandestini, le città di New York, Patherson, San Pedro di California, e tantissime altre pullulano di gelesi, che ivi lavorano come cittadini statunitensi, persino nella lontana Tokio, capitale del Giappone, esiste un ristorante italiano il cui proprietario è un gelese.

Pescatori

Nella categoria dei “marinara” generalmente venivano compresi i pescatori; la città pur non essendo, un tempo, dotata di un porto, ma di un semplice pontile sbarcatolo per il carico e scarico delle mercanzie, aveva una vera e propria flotta mercantile e numerose barche attrezzate per la pesca delle spugne, ma non possedeva una flottiglia peschereccia, tuttavia vi erano delle “paranze” e molti “ingegni” cioè delle piccole barche e di conseguenza un discreto numero di pescatori.
Essi possedevano diversi tipi di reti per poter pescare sia a strascico che in profondità mentre i pescatori con le piccole barche andavano, ogni sera, a “calari u parancu” cioè ad ancorare alcuni cofani dai quali pendevano moltissimi ami; “u parancu” veniva ritirato all’indomani di buon mattino con i pesci che avevano abboccato. Questi ultimi pescatori non si allontanavano eccessivamente dalla spiaggia date le piccole dimensione dello scafo con cui andavano a pescare.

I spunzara facevano parte della categoria pescatori e Gela possedeva un gran numero di velieri attrezzati per la pesca delle spugne; su queste barche si imbarcavano molti marinai chiamati “spunzara” cioè pescatori di spugne. Questa categoria di lavoratori era costretta a sopportare enormi sacrifici per tutto il tempo in cui durava la pesca delle spugne, che si protraeva per mesi e mesi sul mare.
Mare e cielo, cielo e mare senza mai toccare terra, senza attraccare in un porto se non in caso di assoluta necessità, là nelle secche tunisine su quelle barche giorno e notte, notte e giorno.
Questi lavoratori del mare, prima di partire si rifornivano di attrezzi e di viveri che dovevano servire per i lunghi mesi di pesca.
Al posto del pane, portavano sacchi di “gallette”, che per l’umidità del mare e per tutto quel tempo ammuffivano, ma che gli “spunzara” mangiavano ugualmente. Essi prima di salpare riempivano diverse “bonze” di acqua potabile; le “bonze” erano dei recipienti in ferro cementati dentro. L’acqua molte volte però non era più potabile per il lungo andare. Gli “spunzara” portavano con loro molto tabacco da masticare, molti marinai erano soliti “ciccare”, cioè masticare il tabacco e ciò per non farsi venire la scorbuto.
La pesca delle spugne che avveniva nei bassi fondali delle rocciose coste tunisine veniva esercitata, da parte dei nostri pescatori, con mezzi primitivi; infatti l’attrezzo per la pesca era formato da una barra di ferro alla quale erano saldate, a mò di collane, delle catene di ferro e vi era un sacco, dentro al quale andavano a finire le spugne che venivano staccate dalla sbarra e dalle catene che venivano fatte strisciare sui fondali, dove c’erano le spugne.
Il pescato, cioè le spugne, venivano issate e rovesciate sulla coperta del veliero e qui venivano ripuliti, selezionati e messi ad essiccare al sole affinché potessero essere sistemate senza fare volume. Nello specchio d’acqua, antistante la costa tunisina, oltre ai pescatori di spugne gelesi, operavano anche pescatori greci, turchi e spagnoli, i quali pescavano con sistema diverso dal nostro; infatti facevano tuffare dei bravi nuotatori, che, pur privi di respiratori, restavano diversi minuti sul fondo e tagliavano le spugne più grandi e le migliori, che riportavano in superficie in un sacco.

Raittera

I “raittera” erano coloro i quali compravano tutto il pesce pescato per rivenderlo, in parte nei paesi viciniori e dell’entroterra come, Butera, Mazzarino, Niscemi e Riesi e per fare ciò, non essendovi mezzi di comunicazione meccanizzati diffusi si servivano dei “cavaddara” cioè di coloro che trasportavano il pesce dentro cofani di vimini a dorso di cavalli.
Ma i “raittera” così propriamente detti, erano quelli che vendevano il pesce, al minuto, in un primo tempo nelle “buffette” in legno, cioè nei tavoli predisposti sul marciapiede dell’antica pescheria vecchia nella via omonima ed oggi via Giacomo Navarra Bresmes all’altezza dell’attuale piazza Municipio e ciò fino a quando non venne costruita la nuova pescheria coperta in piazza Roma nel vecchio “chianu carmini”.
Detta pescheria venne fatta costruire, su autorizzazione comunale, dal Sig. Michele Pagano, uno dei tanti figli di questa generosa terra che aveva fatto un po’ di fortuna negli stati Uniti d’America in società con Emanuele Iapichino.
Altri “raittera” vendevano il pesce girando il paese e portando il pesce nel “casciolu” cioè una cassetta fatta a strisce di compensato o legno sottile e lo pesavano con una bilancia portatile e facevano delle “muzziate” cioè davano una certa quantità, che, ad occhio e croce, doveva corrispondere ad un certo peso.
I lavoratori del mare o che dal mare, comunque, traevano di che vivere, abitavano nei quartieri adiacenti alla marina, quali “U Bastiuni” cioè l’attuale via Matteotti lato sud; “o Purtusu” cioè la via Pisa; “o Chianu Surfareddu” l’attuale piazza Toselli, “o Spiziu” cioè via Orto Buggè e nella via Mare

Fonte: Rosario Medoro

Alcuni ex velieri di Gela mel mare mediterraneo
U Cuscinu
t. 120
Concettina
t. 35
Massimo Padri
t. 150
Nelino
t. 80
Redentore
t. 70
Piave
t. 80
Nunzio Bertino
t. 100
Grazia
t. 40
U Cavaddruzzu
t. 35
Zia Angela
t. 15
Corallina
t. 40
Roma vecchia
t. 80
S. Vincenzo
t. 20
Italia fascista
t. 80
Nova luna
t. 35
Paolina
t. 40
Michele
t. 70
Clara
t. 110
Salvaturi
t. 30
S. Nicola
t. 70
Sacra Famiglia
t.120
Bammina
t. 40
Raffaele
t. 80
Spirito Santo
t.20
Duminicu patri
t.100
Carolina
t. 60
Giov. Battista
t. 35
Excelsior
t. 90
Paolo padre
t. 30
Roma vecchia
t. 50
Sarina
t. 30
S. Francesco
t. 40
Montevergine
t. 35
Cuore di Maria
t. 70
S. Giuseppe
t. 30
Verginella
t. 45
Carrarmatu
t. 40
Olga
t. 220
Carmela
t. 70
San Ciro
t. 40
Saverio
t. 120
Due sorelle
t. 85
Tura
t. 70
Maria Assunta
t. 70
Madonna di Fatima t. 45 All-Bona t. 282
Fortunato Padre t. 280 Ideale t. 90
Armitica t. 25

 

 

Foto ricordo in occasione dell'inaugurazione del Porto-Rifugio di Gela

Foto ricordo in occasione dell’inaugurazione del Porto-Rifugio di Gela

1° davanti) sig. Ministeri (ha lavorato per i Caradonna;detto “lupo di mare”)
dal 2° al 4° (di cui due dietro) non saprei
5° davanti) cav. cap. Paolo Vella (consigliere comunale, nonchè molto vicino all’on. S. Aldisio)
6° davanti) non saprei
7° davanti) dott. Ventura (forse consigliere comunale?)
8° davanti) on. Giuseppe Pella (presidente del consiglio anni 1953/54; successore dell’on. De Gasperi)
9° dietro) sig. Greco (consigliere comunale)
10° davanti) avv. Francesco Vella (sindaco)
Foto pubblicata per gentile concessione del dott. Francesco Butera, della famiglia Vella-Caradonna di Gela

Monumento ai caduti in mare

Nunzio Mulè

Nunzio Mulè – Capitano marittimo – 1873 – 1960 – Medaglia d’oro per i 40 anni di navigazione

Capitano Caradonna GianBattista

Capitano Caradonna GianBattista – Armatore – morto il 10/10/1918