Filippo Solito nacque a Gela il 26 febbraio 1859 e morto nel 1941.
Pubblichiamo uno stralcio dell’elogio funebre che Salvatore Aldisio pronunciò nel giorno del funerale di Filippo Solito.
… Fin dall’inizio della sua attività professionale, prodigò tutto l’essere suo in una intensa febbre di lavoro che si trasformava di giorno in giorno in un altissimo apostolato. Divenne il “dottore” per antonomasia. La sua casa fu la casa di tutti. Ma soprattutto fu la casa dei poveri, ai quali, oltre al conforto della scienza, in tempi di miseria senza nome, egli, con la delicata discrezione dei grandi apostoli della carità, soccorreva e profondeva, lui non ricco, dei frutti del suo lavoro. Forse, senza saperlo, si fece discepolo e seguace del grande Ozanam, il santo professore che fondò la Conferenza di San Vincenzo, ed ebbe molte affinità con un nostro grande conterraneo, insigne medico anche lui: con l’indimenticabile e glorioso P. Giacomo Cusmano, fondatore in Sicilia del Boccone del Povero.
Ricordo, nella mia prima fanciullezza, averlo visto di pieno inverno, sotto la pioggia e col vento, invariabilmente iniziare le visite a domicilio con le prime luci dell’alba, e passare di tugurio in tugurio a confortare tanti derelitti, che nulla potevano dargli se non una parola di riconoscenza e di benedizione.
Ma non si arresta qui l’attività filantropica e la carità da lui esercitata. Essa si estese a tutte le opere locali di assistenza medica. L’Ospedale Civile fu la sua casa, la pupilla degli occhi suoi, alla cui sorte egli instancabilmente interessò tutte le famiglie, stimolandole ad una nobile gara di beneficenza. E fu lui che volle quella sala di maternità che porta il suo nome.
L’opera, però, dove negli ultimi anni della sua vita maggiormente profuse i tesori della sua nobile attività di medico, di filantropo, di benefattore fu la Colonia Marina, l’ultimo rifugio ove, ormai vecchio, si era consacrato e ridotto. Sorta dal nulla… per il suo personale sacrificio di attività e di denaro, l’opera divenne di anno in anno sempre più apprezzata: dalla povera baracca provvisoria passò progressivamente ai vari padiglioni in muratura, da temporanea in permanente, opera tutto l’anno ad accoglie ammalati provenienti da varie province siciliane e spesso da più lontano e dall’estero. Bisognava vederlo al lavoro in questo suo ultimo campo d’azione per farsi un definitivo giudizio della sua intima vocazione di apostolo del bene.
Questo il retaggio più prezioso che egli lascia ai gelesi, come pegno del suo amore e della sua bontà. E come stimolo perenne alla pubblica beneficenza.
fonte: Virgilio Argento