LO SBARCO DEGLI AMERICANI A GELA

sbarco in siciliaLa Battaglia Di Gela

Nel luglio 1943 l’Italia si trova a difendere il proprio territorio. Gli Anglo-Americani, preceduti da lanci di paracadutisti, sbarcano in più punti della Sicilia. La nostra Sicilia è difesa da poche forze rispetto a quelle Anglo-Americane. Lo sbarco viene anticipato da paracadutisti che non ottengono quanto previsto dagli stati maggiori americani perché molti lanci mancano il bersaglio e quindi si disperdono nel territorio. Questo però favorisce gli alleati, perché i difensori non riescono ad individuare i precisi obiettivi dell’attacco. Dopo la mezzanotte, alle ore 2,45 del 10 luglio iniziano gli sbarchi a Gela. Il golfo viene invaso da una straordinaria forza navale mai vista prima. Da questa flotta sbarca la colonna americana “Dime”, composta dalla 1° divisione fanteria (7 battaglioni e reparti d’appoggio) e da 2 battaglioni rangers.

La resistenza italiana altrove è travolta, ma non a Gela dove sul litorale si scatena una furiosa battaglia, dopo non pochi assalti infruttuosi e con gravissime perdite il generale Patton da l’ordine di reimbarco alle sue truppe. Riordinate le truppe, appoggiate dall’artiglieria navale e dalla flotta aerea riescono ad entrare a Gela alle ore 8 del 10 luglio, spingendosi poi verso l’interno dove occupano diverse posizioni a protezione della città. Mancano tuttavia di parte dell’artiglieria e dei carri, che si trovavano su una nave affondata in rada da un attacco aereo tedesco.

I comandi italiani, avuta notizia dello sbarco nella zona di Gela, ordinano un contrattacco delle unità di stanza a Niscemi: il gruppo mobile “E” ed un battaglione della divisione “Livorno“, e la divisione “H. Goering”. Nel giorno 10 i contrattacchi italiani sono respinti e le colonne tedesche, stazionate più indietro, non sono in grado di aiutare i reparti italiani. Si è perciò deciso di organizzare per le ore 6 del giorno 11 un contrattacco in forze condotto dalle divisioni “Livorno” e “Goering “. I cannoneggiamenti e le incursioni aeree alleate fanno ritardare la controffensiva delle unità così che Italiani e Tedeschi non attaccano simultaneamente né con tutte le forze. L’attacco italiano procede: le prime posizioni americane, sotto l’urto della “Livorno” sono travolte e gli americani, pur combattendo tenacemente, arretrano su tutto il perimetro. Gli attaccanti sono però sono sotto il tiro del cannoneggiamento navale e subiscono forti perdite.

Nella mattinata il denso fumo degli incendi rende difficile distinguere i bersagli dalle navi, che praticamente cessano il fuoco, e le truppe americane di terra ne approfittano per ritirarsi dentro l’abitato di Gela. Proprio in quel momento di massima crisi della testa di ponte americana giungono mezzi corazzati di rinforzo sia da Licata che da Scoglitti ed arriva l’appoggio aereo tattico. La maggior parte delle colonne italiane devono interrompere l’attacco e passare alla difensiva per non essere tagliate fuori; duramente provate, nel pomeriggio cominciano a ritirarsi per raggiungere le basi di partenza, nuovamente contrastate dal tiro navale. Due battaglioni di italiani, decimati, non riescono a sganciarsi e sono catturati. Durante la notte un altro battaglione italiano “la Livorno”, che era riuscito a sganciarsi e raggiungere monte Castelluccio, è agganciato dagli americani. Il reparto si difende strenuamente sino al successivo mattino, quando i superstiti soverchiati da ingenti forze nemiche, si arrendono.

Il fallimento del contrattacco italiano su Gela fu dovuto soprattutto all’imprevista efficacia del tiro navale, che sopperì alla iniziale mancanza in campo americano di appoggio aereo tattico, mezzi corrazzati e cannoni anticarro.

Rievocazioni

Nel luglio 1963 la nostra tv di stato ha trasmesso una rievocazione dello sbarco degli alleati a Gela, che per il dovere della verità storica possiamo solo definire incompleta.

Il documentario si avvaleva solo di spezzoni video e foto realizzate dalle truppe alleate oramai padroni della città, dopo aver regalato sigarette, cioccolato e quant’altro, immortalavano nelle macchine da presa un momento di serenità in cui si vedevano gelesi sorridenti assieme ai soldati americani.
Non possiamo negare che tutto questo sia veramente accaduto, ma da qui a far capire che le truppe americane siano entrate in città senza colpo ferire, anzi acclamati dalla gente, significa mistificare la realtà, significa deformare il momento storico dello sbarco a Gela, che invece ha avuto dei momenti drammatici per tutti i contendenti.

L’onorevole Guerrieri, in una lettera di protesta indirizzata al presidente della Tv Quaroni, lamentava la scarsa sensibilità della Tv di stato nel disertare le commemorazioni dello sbarco alleato a Gela, il quale, il 29 settembre 1966, rispondeva di rammaricarsi per questa mancanza di sensibilità da parte dell’Ente perché ciò che avveniva a Gela nel corso della commemorazione era sicuramente un dato di fatto storico altamente educativo per i nostri giovani e un tassello della verità militare, a cui parteciparono i gloriosi nostri sodati.

Infatti non possiamo dimenticare chi, dopo aver sparato l’ultima cartuccia, o circondato da innumerevoli forze nemiche sia stato fatto prigioniero e trascinato in fila attraverso le vie cittadine al campo di raccolta tra due fila di cittadini piangenti che facevano da ala al loro passaggio, stremati dal combattimento, arsi dalla sete, a cui non potevano offrire neanche un sorso d’acqua, un pezzo di pane sottratto ai loro figli, un abbraccio come solo una mamma sa dare in queste condizioni agli altri suoi figli con le stellette; per non parlare poi del dolore causato dalla perdita delle nostre forze sia sul litorale che nella pianura. Per ricordare il sacrificio di tutti, proponiamo, ai nostri giovani, tre episodi: il sacrificio del tenente Navari che, continuò a far fuoco, nei pressi della Matrice, dal suo fragile carro armato, destando l’ammirazione del vicino comando Americano, finché non si accasciò sulle lamiere contorte e fumanti del suo mezzo al quale si era chiesto l’impossibile. Del maggiore d’Artiglieria Artigiani che perdette la vita in uno slancio di fraterna collaborazione con la Fanteria e quello del caporale maggiore Pellegrini che si difese eroicamente nel fortino di Porta Marina, riuscendo da solo quasi a far fallire lo sbarco in quel tratto di mare, finché non venne pugnalato alle spalle da un militare di colore.

Questi e altri episodi la nostra Tv avrebbe, in quel servizio, dovuto commentare e valorizzare solo se prima si fosse documentata.

Infine riportiamo un commento del generale Eisenhower, comandante in capo delle forze anglo-americane che combatterono nello sbarco: “Se queste truppe non sono vittoriose su un qualunque campo di battaglia, è certamente perché attaccate da forze numericamente troppo superiore”.

Dal libro La battaglia di Gela di Nunzio Vicino, condensato da Salvatore Ventura

il Tenente Navarri e Il Caporal Maggiore Pellegrini

il Tenente Navarri a destra Il Caporal Maggiore Pellegrini

Testimonianze

Dal volume IX della “Storia delle operazioni Navali U.S. dell’ammiraglio Morison: 
“… in realtà gli alleati avevano chiuso in una muraglia di navi un buon terzo della Sicilia. Nessuna forza del mondo avrebbe potuto impedire loro di stabilirvi le loro teste di ponte”.

A Gela un reparto di marines fu annientato “dal fuoco incrociato di due postazioni di mitragliatrici”; un altro reparto fu “costretto a battersi sulla costa quattro ore, subendo molte perdite, causate dal fuoco di mitragliere e di cannoni”.

“Il mattino del 10 luglio l’intero peso del contrattacco in questo settore era lasciato sulle spalle del gruppo mobile italiano di stanza a Niscemi” mentre il mattino dell11 luglio, il peso della lotta fu sostenuto per intero dalla sola divisione “Livorno”.

DA “STAR AND STRIPES” del 21 Agosto 1943.

“… al largo della costa di Gela l’ora H venne alle ore 2,45 e subito vedemmo le prime fumate dei grossi calibri costieri… Non ci potemmo avvicinare di più perché numerosi pezzi di artiglieria nemica avevano seminato il mare di proiettili intorno a noi. La stessa città di Gela è circondata da fitto fumo che nasconde tutta la zona dove è in corso il combattimento. Le nostre navi da guerra hanno navigato in perfetto ordine su e giù lungo la costa, lanciando proiettili da otto pollici con effetto terrificante. Hanno concentrato la loro attenzione sulle batterie nemiche”.

Da un articolo del Comandante Anthony Kimmins, pubblicato ne “Il Mese” dell’ottobre 1943.

L’avversario confuso dalla massa di imbarcazioni, sparava in tutte le direzioni senza regola; le pallottole traccianti fischiavano da ogni parte, rivelando la posizione delle batterie e dei fortini. I Cacciatorpedinieri cominciavano a controbatterli con le loro artiglierie… Al sorgere dell’alba la costa era coperta da una lunga cortina di fumo e, col crescere della luce, apparve più e più distinta una delle scene più strabilianti ch’io abbia mai visto… da una parte e dall’altra non si vedevano che navi, navi, navi… una sterminata flotta di duemila navi”.

Montgomery :
“Il primo importante contrattacco nemico venne sferrato nel settore americano… nella direzione di Gela”.

Eisenhower :
”La valorosa azione della I° divisione, appoggiata saldamente da una formazione aviotrasportata e con l’aiuto delle artiglierie della marina, respinse il contrattacco dopo alcune ore di aspro ed incerto combattimento”.

Stato Maggiore canadese :
“L’11 luglio la situazione diventa critica durata un certo tempo nei dintorni di Gela, centro della linea americana…”.

Butcher :
“Patton ci ha mostrato sulla carta che l’invasione americana si sviluppa secondo i piani in tutti i settori, tranne in quello di Gela dove la I° divisione ha incontrato una forte resistenza nemica”.

I quotidiani The Military and Civil gazette e the Statesman di Nuova Delhi del 12 luglio 1943 pubblicavano la notizia secondo la quale il Comando americano, in seguito ai furiosi contrattacchi delle truppe italiane, ammainava la bandiera e dava l’ordine di reimbarco delle truppe sbarcate a Gela..

Dopo la mezzanotte la Piazza del Duomo fu teatro di una sanguinosa lotta in cui si distinsero egregiamente i Carabinieri, ai quali, nel frattempo, si erano uniti alcuni giovani gelesi contro gruppi di marines e paracadutisti.

La lotta durò due ore circa. I Carabinieri si difesero strenuamente, ma furono sopraffatti quando, esaurite le munizioni, vennero circondati da altri paracadutisti, accorsi dalla parte della vicina Chiesa del Rosario

Ricordiamo: Ferdinando Incardona, Francesco Zafarana, Rosario Cacciatore, Crocifisso Tallarita.

Dal libro “La battaglia di Gela” di Nunzio Vicino

UN LIBRO DELL’ON. AUGELLO SVELA LE STRAGI DELLO SBARCO IN SICILIA DEGLI ALLEATI
Giovedì, 30 Aprile 2009

IL TEMPO di ROMA del 30 aprile 2009


Seconda guerra mondiale

I segreti di quello sbarco maledetto

libro uccidi gli italianiNel libro di Andrea Augello sono dettagliatamente descritti i crimini di guerra commessi dagli Alleati in Sicilia nel periodo dello sbarco.
Testimonianze e descrizioni importanti di una realtà tragica che ci tocca da vicino.
«Contro i 1.800 moderni cannoni nemici, schieravamo 500 bocche da fuoco, per due terzi residuati della Prima guerra mondiale.
Contro i 600 carri armati anglo-americani si contano circa 155 carri tedeschi e un’ottantina di carri leggeri italiani, 50 dei quali Renault 35».
Eppure il giovane tenente dei carristi Angelo Navari sul suo Renault 35, una scatola di latta con i cingoli, dalle foto in bianco e nero sembra sorridere.

Alle 2 nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 in Sicilia gli Alleati hanno dato il via alla più imponente operazione di sbarco che si sia mia vista nella storia fino a quel momento, sulla spiaggia tra Licata e Gela e tra Pachino e Siracusa. Alle 8 del 10 luglio il tenente Angelo Navari alla testa di 12 carri Renault contrattacca. Punta verso l’abitato di Gela, affiancato solo da una compagnia di bersaglieri. Vengono massacrati dal diluvio di fuoco che arriva dal mare. Restano solo due carri italiani. Il tenente Navari avanza da solo.

Travolge le difese americane fuori dal paese, lungo la ferrovia. I ranger se lo vedono passare davanti all’ex Hotel Trinacria, sembra invulnerabile. Semina il vuoto, è a 300 metri dalla spiaggia. Ha tagliato in due la testa da sbarco della più potente armata. Perde il pilota. Alla fine un colpo di bazooka blocca i cingoli. Angelo Navari esce dalla torretta con la pistola in pugno. Un proiettile lo centra in fronte. Ma il suo sacrificio è servito a dimostrare quanto il dispositivo americano sia fragile, nonostante che dalla notte prima, sotto un cielo di pece, il mare sia letteralmente ricoperto di cannoniere e mezzi da sbarco, a ondate piovano bombe dalle fortezze volanti. Strano libro quello scritto da Andrea Augello, senatore del Pdl.
Un libro che ha il merito di far rivivere dall’oblio questi eroi non per caso.

E dove i liberatori sparano sui civili, massacrano i prigionieri.

“Uccidi gli italiani” è edito da Mursia, è stato presentato all’auditorium dell’Ara Pacis; e ha una postfazione, preziosa, scritta da Anna Finocchiaro che al Senato siede nel versante opposto, capogruppo del Pd. Il titolo viene dalla parola d’ordine dei parà britannici che presero parte allo sbarco, in codice “operazione Husky”, quando gli Alleati non avevano ancora deciso – osserva Andrea Augello – di descrivere la campagna di Sicilia come una “missione umanitaria”.

Soprattutto il saggio, che spesso ha il ritmo incalzante di una sceneggiatura cinematografica, ma ricco di documentazione e di testimonianze, ha un altro merito.

La strage di Biscari (furono fucilati oltre 70 soldati italiani dopo che si erano arresi) – rivelata qualche anno fa da Gianluca di Feo del Corriere della Sera, e probabilmente non l’unico crimine di guerra americano in Sicilia – resta sullo sfondo.

La ricostruzione di Andrea Augello rovescia la vulgata secondo la quale sull’isola le nostre forze armate si sciolsero come burro, un anticipo dell’8 settembre.

E invece gli italiani combatterono una battaglia feroce. Durissima.

Tra gli errori incredibili – semmai – dei tedeschi e la violenza spesso brutale delle truppe alleate. Si combatté per giorni intorno a Gela, nel centro del paese: dalla piazza del Duomo fu prima tolta metà dal mucchio di corpi, quella dei soldati americani uccisi, e poi i fotoreporter di Life fotografarono solo i cadaveri degli italiani. Per almeno due volte gli Alleati rischiarono, nonostante l’enorme superiorità di mezzi, di essere ributtati in mare da quell’esercito di “straccioni”.

“È questa la Storia che restituisce alla città di Gela l’identità di tanti cittadini valorosi che non trovarono neppure l’onore di una sepoltura ufficiale” scrive Anna Finocchiaro. Dal 10 al 12 luglio caddero sul fronte di Gela 3.300 soldati italiani (molti i ragazzi della Divisione Livorno).
Si conosce il luogo di sepoltura per 600 di loro: all’appello ne mancano 2.700. Giacciono sotto i campi, nelle fosse comuni. Oltre che si faccia chiarezza sui crimini di guerra, che si restituiscano le medaglie “rubate” a chi si comportò da eroe, l’augurio di Andrea Augello è che nasca un “luogo della memoria dello sbarco” riconoscendo finalmente “ai combattenti, italiani, tedeschi, americani, nulla di meno dei loro meriti e dei loro limiti in momento spaventoso” in cui migliaia di giovani si misurarono con l’orrore della guerra.

Fonte: congedatifolgore.com

Il cimitero di guerra di Ponte Olivo 

Nella battaglia di Gela le perdite americane ammontarono complessivamente a 10.000 uomini come ebbe a confermare il maggiore statunitense, addetto al recupero delle salme.
Sepolti al cimitero militare di  Ponte Olivo, 3.090 soldati americani tra cui due donne tenenti e due crocerossine.
Militari tedeschi: 500
Militari italiani: 3.350

La stele di Monte Castelluccio

Su Monte Castelluccio, che domina la Piana di Gela dove il III Battaglione del 34° Reggimento Fanteria “Livorno” partì per l’attacco, ho innalzato un Monumento ai miei morti.
Ai piedi di esso ho posto una Lampada Votiva sempre accesa, che io solo vedo, come io vedo il monumento. Questa lampada è il mio cuore.
Io non potrò mai spegnerla finchè sarò in vita, perchè io soltanto so quanto grande e quanto glorioso sia stato il loro sacrificio.
Dante Ugo Leonardi

L’AERONAUTICA A GELA

Macchi C. 202 schierati sul campo di aviazione di Gela

Il colonello Enrico Pezzi durante una sosta all’aeroporto di Ponte Olivo, per una ricognizione fotografica della zona di guerra – 11- 07- 1940

pietro bianchi

Pietro Bianchi coltivava un ottimo rapporto di amicizia con Ennio Tarantola. Qui li vediamo insieme.

dulio fanali

Duilio Fanali, Comandante del 155° Gruppo CT, 51° Stormo, si arrampica nell’abitacolo del suo Mc. 202: sono visibili gli indispensabili paracadute Salvador ed il giubbetto salvagente. La foto lo ritrae all’aeroporto di Gela, prima di una missione su Malta.

Ennio Tarantola con Ferruccio Vignoli, Gela, 1942

bertolucci

Maresciallo Pasquale Bartolucci, di fronte al Macchi C.202 360-5, della 360° Squadriglia, 20° Gruppo, 51° Stormo Gela, Ottobre 1942

beniamino

Sottotenente Pilota Beniamino Spadaro, di fronte al Macchi C.202 151-5 Gela, Luglio 1942

furio

Il Cap. Pilota Furio Niclot Doglio M.O.V.M. (Torino, 24 Aprile 1908 – Malta, 27 Luglio 1943), Comandante 151a Squadriglia, 20° Gruppo, 51° Stormo, fotografato a Gela, nel Luglio 1942, davanti al suo Macchi C.202 151-1.
Notare il guidoncino a forma di V che identificava il Comandante di Squadriglia.

PRESIDIO DELLA MARINA AMERICANA DOPO LA GUERRA

La spola con le navi

La spola con le navi

La spiaggia di Gela

La spiaggia di Gela

Presidio della marina americana - Infermeria

Presidio della marina americana – Infermeria

La guardia

La guardia

Arriva la posta

Arriva la posta

Marinai in libertà

Marinai in libertà

Dogana

Sullo sfondo l’edificio dell’allora Dogana

E' l'ora del rangio

E’ l’ora del rangio

Protezione del presidio

Protezione del presidio

Il magazzino

Il magazzino

L'infermeria

L’infermeria

Foto ricordo

Foto ricordo

RICORDI

Soldati fuori caserma

Seconda Guerra Mondiale

Soldati fuori caserma – Il seconda da sinistra era d’Angeli Emanuele – L’ultimo a destra Mendolia, tutti e due di Gela