L’ULTIMO VIAGGIO
Le tappe delle due ultime giornate di Enrico Mattei interrogando persone umili e eminenti che lo hanno avvicinato in quelle ore estreme, intensissime, secondo il ritmo e la regole di vita dell’Uomo, variate appena da qualche breve riposo, dalla contemplazione silenziosa, forse presaga, della natura che Egli amava.
di Ubaldo Bertoli
Il pomeriggio del 25 ottobre, Francesco Meli, guardiano dell’aeroporto di Gela, ricevette conferma che il mattino seguente sarebbe atterrato l’aviogetto di Enrico Mattei. Il guardiano segnò sul registro la telefonata, poi inforcò la Lambretta e percorse adagio la pista, osservando attentamente se vi fossero sassi.
La pista corre tra campi di cotone e di grano, si scorge appena dalla strada provinciale: un rigo color ardesia tra ciuffi d’erbacce. Tre anni fa fu riattata, in parte, per conto dell’AGIP. Nel 1942 serviva ai trimotori che andavano a bombardare l’isola di Malta; i gelesi ricordano ancora il lungo rombo notturno che scuoteva la piana.
L’aeroporto conserva il vecchio nome di Ponte Olivo, ma il paesaggio è mutato. La solitudine, densa allora di ansiose percezioni e di paurose attese, risuona di allegri rumori, le auto filano sulla strada verso Niscemi e laggiù, sullo sfondo del mare, si levano fiamme e pennacchi di fumo.
Il grande stabilimento petrolchimico dell’ANIC GELA ha reso giustizia a una terra dimenticata e la guerra è solo un vecchio ricordo di cui i ragazzi sentono dire ogni tanto a scuola nell’ora di storia.
Terminata l’ispezione, Francesco Meli tornò nella baracca di legno e annotò ancora qualcosa sul registro, poi confermò alla direzione dello stabilimento che tutto era in ordine.
Il mattino del 26 il guardiano ripercorse la pista, da poco era cessato il libeccio e il sole illuminava tenero i campi. Due auto avanzarono sulla strada di raccordo, si arrestarono davanti alla baracca. Scesero l’ing. Semmola, l’ing. Bignami, altri; mancava poco all’arrivo dello I-Snam.
Cominciarono a guardare verso le colline. Alle 10,20 l ‘aereo luccicò breve sopra le colline, si perse nella rifrazione, poi di colpo apparve obliquo, sibilando, il muso verso il mare.
Come al solito, il primo a scendere fu Mattei . Strinse la mano a tutti, anche a Meli. Alcuni contadini osservarono dal ciglio della pista, agitarono le mani. Mattei rispose con lo stesso gesto ed essi avanzarono fino alla baracca, per vederlo più da vicino. Uno, la grossa faccia ossuta, si mise vicino all’ing. Semmola. Quando Mattei gli passò accanto sporse la mano, e fu un gesto semplice, quieto. Il guardiano dell’aeroporto ci ha detto: «Per una settimana non fece che ripetere a tutti quelli che incontrava che aveva stretto la mano a Mattei ».
Quel mattino del 26 ottobre, poco prima delle 8, all’hotel Eden, si erano riuniti l’ing. Fornara, il dott. Colonna e il giornalista americano McHale, corrispondente da Roma di Time Life. Dovevano imbarcarsi sull’aviogetto I-Snam insieme col Presidente. Il cielo era limpido, McHale parlava allegro puntando ogni tanto gli occhi cerulei sui pini di Villa Medici. Mattei scese alle 8,10, prese sottobraccio l’americano; prima di salire sull’auto salutò il portiere.
Il giornalista americano William McHale, morto sull’aereo di Mattei nella mezzora che occorse per raggiungere Fiumicino, McHale non ebbe a sua disposizione un solo minuto per osservare il paesaggio. Mattei aveva incominciato a parlare delle cose che riguardavano soltanto una grande opera cui egli dava giorno e notte tutta la sua forza, e fra quelle cose, dietro quell’opera, c’erano, con tutto il loro preciso significato, l’ardore e la passione per una conquista sociale.
E McHale ascoltava, faceva cenni di assenso, ormai non guardava più di sfuggita fuori del finestrino. Mattei lo aveva trascinato dentro i problemi e le necessità attuali; la sua calda rapida voce indicava le prospettive e la funzione dell’industria pubblica, la guida dello Stato in quella funzione, e la partecipazione di tutti, allineati sullo stesso piano, al rinnovamento, al potenziamento dell’industria italiana.
Il giornalista americano ascoltava, sentiva il calore appassionato di quell’uomo su cui tanti giudizi erano corsi in ogni parte della terra, che aveva fatto “colpi di testa”, come si diceva in America, che aveva tanti nemici e tanti amici, proprio come si addice a un uomo che guarda dritto e vuoi raggiungere uno scopo. E lo scopo, mentre l’auto correva verso Fiumicino, era proprio quello che dava vigore alle parole dì Enrico Mattei, in quel mattino luminoso di ottobre. McHale avrebbe scritto di queste parole, come avrebbe scritto di quello che stava per vedere fra poche ore, laggiù in Sicilia, a Gela, dove erano sbarcate nel luglio del ’43 le truppe del suo paese. Di Gela non sapeva altro McHale.
Decollato alle 9,35 dalla pista di Fiumicino, l’aereo atterrò alle 10,22 su quella di Gela. Il guardiano ci mostra il registro stralcio di volo. Alle 10,55 atterrò anche il “Dove”, l’altro velivolo che portava l’ing. Zanmatti, il dott. Schiavo, il prof. Dinelli e il dott. Colonna. Il viaggio dei due aerei era stato regolare. McHale aveva potuto ammirare l’incantesimo dell’Etna, lo sguardo giungeva a cogliere tutta l’isola, e anche Mattei guardava in silenzio.
Riprese a parlare quando salirono sull’auto dell’ing. Semmola. «Questa gente ha vissuto per troppo tempo lontano dal mondo. Il Mezzogiorno ha bisogno di lavoro, di opere». Cominciò volgendosi a McHale. «Ha visto quell’uomo?» gli chiese riferendosi al contadino che s’era fatto sotto per dargli la mano. «Be’, la Sicilia in gran parte è come lui. Povera, semplice, desiderosa di lavoro, di respiro sociale, di giustizia».L’americano assentiva, guardava il grandioso profilo dello stabilimento che spiccava contro il mare. «Noi, qui, abbiamo cominciato a portare il lavoro», ripete Mattei . «Spero che anche lei possa constatarlo».
Le auto percorsero veloci la strada fra gli eucalipti, si arrestarono davanti l’edificio della direzione. Alle 11, Mattei, McHale, accompagnati dall’ing. Semmola, avevano già iniziato la visita allo stabilimento. Erano sopraggiunti l’ing. Fornara, il dott. Schiavo, il prof. Dinelli, il prof. Faleschini, altri dirigenti tecnici. L’americano osservava attento, segnava appunti sul taccuino, chiedeva ogni tanto precisazioni a Semmola, a Fornara.
Intorno gli operai levarono il capo, qualcuno indugiava un momento a osservare gli ospiti, si udivano voci che davano ordini, e il fragore continuo, diffuso dei macchinari in moto, colpi di martello, altre voci più lontane, dall’alto delle travature.
Romeo Benedetto è un operaio addetto alla manutenzione della centrale termoelettrica dello stabilimento. Catanese, dalla parlata sobria e precisa, ci racconta: «Quel mattino stavo allineando una pompa di alimentazione caldaie quando ho visto un gruppo di persone fermarsi a una diecina di metri da me. Riconobbi Mattei . Egli mi fece cenno di avvicinarmi, poi subito ne fece un altro per dirmi di restare dove mi trovavo. Avanzò, mi strinse la mano e mi chiese: “Come stai qui all’Anic?”. Gli risposi che come lavoro stavo bene, come paga un po’ di meno. Ebbi timore di aver detto una cosa che gli dispiacesse, ma lui sorrise e mi disse: “Sono cose che si sistemeranno giorno per giorno. Ancora lo stabilimento non funziona.
Abbiate pazienza. Anch’io ne ho tanta, credetemi”. Poi mi domandò se noi operai ottenevamo pronta assistenza da parte della direzione, se la mensa era buona, e fu contento quando gli risposi che non potevamo lamentarci. Volle sapere se ero sposato, se avevo figli, e si fece più premuroso quando gli dissi che mi era nato il primo figlio il giorno prima. Mi battè sulla spalla e si allontanò».
Alle 12,45 termina la visita allo stabilimento. Continuando a parlare con McHale, che gli sta sempre al fianco, Mattei raggiunge l’ufficio dell’ing. Semmola, ove viene fissata l’ora della prima Assemblea degli azionisti dell’ANIC GELA.
Alle 13,30 il Presidente dell’ENI, insieme coi dirigenti, entra nella sala da pranzo del motel. Nel piazzale antistante sono parcheggiate numerose auto, alcune con targa straniera. Mattei ne è compiaciuto, e al maitre Gennarino Cavallino dice: «Bene. Vedo che c’è lavoro qui. Come va per il resto?». Il Maitre risponde che le cose vanno per il meglio, i clienti sono soddisfatti per la cucina e per l’accoglienza. Il direttore, Luigi Guarina, lo assicura che meglio di così non potrebbe andare e come ogni giorno aumentano le richieste di alloggio, le prenotazioni. Ormai Gela è un centro industriale, arriva gente per affari, altra ne arriva per vedere quello che l’ANIC GELA ha fatto, gente di Sicilia, del continente. Ci vorrebbe un motel di duecento camere, dice Luigi Guarina.
Anche McHale ormai si è reso conto di come è cambiata Gela, senza averla vista prima; è sin troppo facile capirlo, sentirlo, in quell’andirivieni di persone, di macchine, fra tutte quelle voci e quei rumori, in quella eccitazione che si ripercuote in ogni luogo e rende l’aria densa, crepitante come nelle città del settentrione. Il giornalista americano continua a scrivere rapido sul taccuino.
A tavola si parla di usanze siciliane. Ad un tratto McHale accenna a Palma di Montechiaro. Se ne parla un po’ dappertutto, anche negli Stati Uniti.
Life ha pubblicato un servizio fotografico assai significativo sulle condizioni di quel paese. Gli occhi di Mattei si oscurano, muove il capo in silenzio. «Un giorno anche questo cesserà. Siamo venuti qui anche per questo, per cancellare questa brutta pagina di miseria», esclama con voce sonora. «Vedrà, caro McHale, che la situazione cambierà. Ci vuole pazienza e lavoro, molto lavoro».
Terminata la colazione, il Presidente dell’ENI si accomiata dall’americano, che andrà a riposare nella sua camera. «Beato lei. Io devo rimettermi subito al lavoro», gli dice sorridendo. Alle 15, infatti, avrà inizio l’Assemblea degli azionisti e Mattei sente che sarà una riunione faticosa, in cui dovrà affrontare discussioni non facili. Ma è venuto a Gela anche per questo e questo fa parte della sua fatica quotidiana, che dura da tanti anni, da quei giorni lontani di Caviaga.
Ne è passato del tempo, molte cose sono state fatte, cose grandi, come Metanopoli, l’ANIC Ravenna, gli impianti petroliferi nel Sinai, in Iran, in Patagonia… e Pisticci, Bari… Ed ora Gela, che sta per diventare un fatto compiuto. Quel Mc Hale avrà pur notato quello che si sta facendo. Egli può riposare. Manca poco alle quindici; nella sala delle riunioni, a quest’ora, saranno già pronti gli azionisti: anche oggi, 26 ottobre 1962, per Enrico Mattei non ci sarà riposo.
Mattei prende posto al tavolo della presidenza, tra l’ing. Semmola e il notaio Seca. Intanto gli hanno comunicato che verso le 17 arriverà il Presidente della Regione Siciliana, on. Giuseppe D’Angelo, il quale aveva manifestato il desiderio di accompagnare Mattei, il giorno dopo, nella visita ai cantieri di Gagliano.
La seduta si apre con la relazione sull’attività dell’ANIC GELA, letta da Mattei. Gli azionisti la seguono con grande attenzione, poi intervengono con varie domande. Enrico Mattei risponde ad ognuno con estrema esattezza dimostrando di essere minutamente documentato sulla situazione. Alla richiesta dell’industriale Andrea Barbieri, se il metano dei pozzi di Gagliano sarà disponibile anche per le industrie private, Mattei risponde: «II metano è per tutti. Per tutta la regione siciliana». E con questa risposta, data con tono deciso, intende annullare certe voci correnti per cui il metano sarebbe servito solo alle industrie a partecipazione statale. Al termine della seduta, l’industriale Barbieri rivolge a Mattei calorose parole di riconoscimento per l’opera intrapresa.
Sono le 17,15, ma per il Presidente dell’ENI ci sono pochi minuti di sosta: alle 17,20 egli presiede una seconda riunione, quella dei dirigenti tecnici dell’ANIC GELA.
Soltanto alle 18,30 Enrico Mattei può incontrarsi con Giuseppe D’Angelo. I due uomini sono legati da un’amicizia che si è rinsaldata via via nei precedenti incontri. Nel presidente della Regione non c’è più neppure l’ombra dei pregiudizi che tre anni prima lo spingevano a considerare cautamente l’iniziativa di Mattei in Sicilia. Egli, infatti, ci ha dichiarato nel corso dell’intervista concessaci il 17 ottobre scorso: «Quando lo conobbi avevo dei pregiudizi. Poi capii l’uomo, seguii la sua opera, e mi affezionai».
L’oscurità è scesa sulla piana di Gela, il chiarore rossastro dello stabilimento la rende più solitaria e segreta, si vedono fari che salgono tremolando le rampe di Niscemi. «Adesso andiamo a dare una occhiata al villaggio», propone Mattei.
Manca poco alle 19 quando le due macchine si avviano verso il Villaggio Residenziale, dietro il lungo gradino su cui giace Gela. Sulla prima hanno preso posto D’Angelo, Mattei, l’ing. Semmola e McHale; sull’altra l’ing. Bignami, l’ingegnere Zanmatti, l’on. Corallo, assessore ai Lavori Pubblici della Regione Siciliana.
Ci racconta l’ing. Rino Bignami: « Mattei fece una visita minuziosa, osservò ogni cosa, chiese a che punto erano i lavori della strada che, con un ardito gomito sopraelevato, dovrà unire il villaggio a Montelungo.
Poi, improvvisamente, quando ciascuno di noi pensava fosse giunto il momento di tornare, egli disse: “Andiamo su”. E senza indugiare si avviò alla macchina. Io gli feci notare che era troppo buio ormai, ma lui, quasi bruscamente, ripetè: “Andiamo lo stesso”.
Arrivammo sul colle per la carraia, Mattei scese in silenzio, fece un breve cenno di saluto al guardiano che era uscito dalla cascina, poi, come non si ricordasse più della nostra presenza, avanzò lungo il filare di palme, lentamente, fino al ciglione che sovrasta la spiaggia.
Mentre aspettavamo che tornasse mi ricordai come ogni volta che veniva a Gela, al termine di una giornata densa di colloqui e di discussioni, egli amava salire sulla collina e passeggiare in silenzio tra gli arbusti, sostare di fronte al mare. E mi ricordai anche che una sera mi aveva detto: “Questo è il posto ideale per passarvi gli ultimi anni. Chissà che non riesca a farlo”. Mattei ritornò presso di noi e cominciò a descrivere a McHale quello che sarebbe stato costruito sulla collina: una ventina di villette per i tecnici dell’ANIC Gela. Rientrammo al motel che erano le 20 passate». Durante la cena, un cameriere porge una busta a Mattei. Dentro c’è un foglio con due sole righe: «Scusi se la disturbo, ma desidero che lei sappia ancora una volta quanto le sono riconoscente. Michele Torrente». Mattei aggrotta la fronte, fruga nella memoria.
Ora, improvvisamente, si ricorda di quel nome. Sorride e si mette il biglietto in tasca. Glielo ha mandato un giovane di 26 anni che lavora nello stabilimento. Nei primi giorni di maggio egli aveva tentato di avvicinare il Presidente nella hall del motel, qualcuno dei presenti voleva impedirglielo, ma Mattei aveva visto la scena. «Lasciatelo venire» disse. Il giovane gelese chiese di poter lavorare, molta era la miseria nella sua casa. Parlava con voce rotta dall’emozione, gli occhi fermi, pieni di dolore. «Be’, intanto siediti là e mangia», lo rincuorò Mattei, «Poi vedremo». Cinque giorni dopo, Michele Torrente veniva assunto.
Ora, Mattei, tra le voci che s’incrociano, ripensa a quel giovane, a quel giorno di primavera. Anche allora era andato a Montelungo, appena scesa la sera. Con Angelo Stimolo, il guardiano che abita la vecchia cascina, aveva passeggiato tra agavi e nistri e Stimolo era l’uomo ideale, così silenzioso e schivo, per stare quieti lassù, dove non si ode che il suono della risacca.
Sono le 22 quando Mattei si leva da tavola. I suoi ospiti salgono nelle camere, McHale rimane. Vuole chiedere ancora qualcosa al Presidente dell’ENI e questi, salutato D’Angelo, si avvia all’uscita, si porta nel piazzale, seguito dall’ing. Semmola. L’americano si affianca, passeggiano, Mattei è disteso. McHale non gli chiede nulla, ha capito che quell’uomo merita bene un quarto d’ora di quiete. L’aria è dolce, coi suoi teneri lumi Gela dorme nel vecchio sonno, e più in là c’è Montelungo. Anche lassù c’è un lume, appena distinguibile nella vastità del buio. «Per molti giorni, ripensando a quella sua passeggiata solitaria lungo il ciglione della collina, non riuscii a scacciare la sensazione che Mattei presagisse di non potervi più tornare» ci dice l’ing. Bignami.
Il 27 ottobre sarà una giornata ancor più intensa per Enrico Mattei. Alle 6,30 è già in piedi. La finestra della sua camera è rimasta illuminata sino a notte tarda. L’impiegato al bureau, uscito a prendere una boccata d’aria, l’ha notato. «Starà lavorando» dice tra sé.
Alle 7 il comandante Moroni da l’ultima occhiata all’elicottero, riprova il motore. La sera prima ha preso accordi per il viaggio con Mattei. A bordo saliranno anche il Presidente della Regione Siciliana e il giornalista americano. Moroni pensa a tutti i viaggi fatti con Mattei; un compagno piacevole, sempre cordiale, premuroso. La prima tappa sarà Enna e occorrerà atterrare nel breve spiazzo dietro il municipio, tra gli alberi.
Intanto, al motel, i partenti sono pronti. Mattei conversa con D’Angelo, il maitre offre a Mc Hale un torrone siciliano. «Una nostra specialità. Sentirà come è buono», dice. Mattei si avvicina, conferma ridendo quanto ha affermato il maitre. «Okay. Porterò ai miei bambini» risponde l’americano, infilando il torrone nella borsa.
Raggiunto il settore AGIP, dove si trova l’Augusta-Bell, Mattei si preoccupa che D’Angelo stia comodo il più possibile dentro la carlinga.
Sono le 7,30 quando l’aereo si leva spolettando. Dal basso gli operai alzano i berretti. Il sole spiana i campi bruni, lontano si vede Butera arroccata sul picco d’arenaria, come un grosso castello disabitato.
Mattei indica a McHale i paesi che via via appaiono bianchi e grigi sul fianco delle montagne; un paesaggio glabro, indurito dai secoli. Laggiù il turismo non arriva, c’è soltanto l’attesa di gente taciturna alle prese con la miseria. «Un giorno, presto, ci sarà lavoro anche per loro» dice Mattei. Il Presidente D’Angelo fa un cenno di convinzione, McHale scrive sul taccuino.
Quaranta minuti dura il volo, e l’atterraggio è impeccabile. Ad attenderlo, nello spiazzo, ci sono le autorità di Enna, il prefetto, il sindaco, e tecnici minerari di Gagliano. La sosta sarà breve, perché quelli di Gagliano aspettano dal primo mattino. Il sindaco di Enna offre un piccolo rinfresco nel salone del municipio e rivolge a Mattei parole di ringraziamento e di riconoscenza. Nelle strade c’è folla che aspetta per manifestare il suo plauso, McHale si rende conto di quanto sia popolare e amato il suo “amico” Mattei , sul quale dovrà scrivere un lungo articolo.
Lo ha già tutto nella mente, costruito con tutto quello che finora ha visto, sentito, e Mattei è veramente l’uomo che aveva immaginato, un vero uomo, che infondeva sicurezza, coraggioso, infaticabile, proprio come quelli che andarono primi nel West a cercare la ricchezza del suo grande paese.
Anche Giuseppe D’Angelo pensa al contributo dato da Mattei all’Isola.
Nel suo ufficio, a Palazzo dei Normanni, dove ci ha ricevuti, ricorda l’ultimo incontro. «Quando potemmo parlare, noi due soli, manifestò la sua preoccupazione per la piega che stavano prendendo gli avvenimenti di Cuba. Temeva che Krusciov si impuntasse col mantenere le truppe sovietiche nell’isola.
“Potrebbe essere la guerra, capisce?” mi disse.
Il mattino dopo Mattei era sereno, allegro. Sull’elicottero rispondeva alle domande di McHale, ed io li lasciavo parlare. Ogni tanto si rivolgeva al comandante Moroni per ottenere conferma a quanto diceva. E si trattava delle opere che erano state fatte, della fatica sopportata, degli ostacoli incontrati. Dopo la sosta a Enna, partimmo per Gagliano. Atterrammo nei pressi della centrale gas di raccolta. Ci dirigemmo a piedi all’abitato, seguiti da tecnici e operai. Su di una rupe sovrastante il paese c’era una grande scritta “W Mattei ” e appena imboccammo la strada principale fu una pioggia di coriandoli, uno scoppio di petardi. Dai marciapiedi, dalle finestre, la gente di Gagliano gridava e salutava Mattei. C’erano striscioni ogni dieci metri, con scritte di plauso. Mattei era commosso, non riusciva a pronunciare una parola, agitava la mano. Anch’io ero commosso, per lui. Proprio l’altro ieri, mia moglie, rovesciando il taschino della mia giacca, ha trovato dei coriandoli», aggiunge Giuseppe D’Angelo. Rimane qualche attimo in silenzio, poi riprende: «Mi viene spesso alla mente la sua figura, quel suo fare sicuro e robusto, la sua voce calda e persuasiva. Quando ci incontravamo il suo argomento preferito era quello riguardante i problemi del lavoro, della industrializzazione nelle zone depresse, dell’impresa pubblica. Ma non mi parlò mai con acrimonia degli imprenditori privati. Ma si accalorava quando sosteneva il principio dell’iniziativa statale», prosegue l’on. D’Angelo. «Negli ultimi tempi era rattristato per l’eccessiva politicizzazione che, secondo lui, arrestava la produzione, il lavoro, particolarmente qui in Sicilia. Me lo ribadì anche la sera del 26 ottobre. Era un uomo di grande coraggio, e di grande cuore», termina il Presidente della Regione, «la sua opera resterà. E’ un’opera che onora l’Italia».
La festosa accoglienza di Gagliano si prolunga oltre i limiti del previsto. Non è facile accommiatarsi da tutta quella gente che vorrebbe trattenere Mattei anche il giorno dopo.
Il giorno dopo, invece, c’è altro lavoro per il Presidente dell’ENI. E’ atteso a Milano per un incontro importante con un’alta personalità, con la quale egli dovrà visitare la nuova raffineria dell’ANIC, a Sannazzaro de’ Burgondi, nel pavese. E all’aeroporto di Catania lo aspetta Ineri Bertuzzi, per la una. Ma qualcuno prega Mattei di fare l’ultima sosta a Nicosia, si tratterrà di una mezz’oretta soltanto. Mattei non sa rifiutare, troppa è la commozione per l’accoglienza di Gagliano. I siciliani sono gente sincera, felici di averlo tra loro, e anche Nicosia vuole dargli un saluto.
Mattei risale sull’elicottero, lo seguono D’Angelo e McHale, il quale è sempre più stupito per l’entusiasmo dei siciliani. E Moroni dirige l’aereo verso Nicosia, vi atterrano dopo 10 minuti. Si ripete la stessa accoglienza di Gagliano, Mattei deve stringere decine e decine di mani, ascoltare ora l’uno ora l’altro, e tutti vogliono manifestargli la riconoscenza per aver portato lavoro in quella terra povera e sconsolata. Una rapida colazione, D’Angelo si accorge che Mattei lotta contro la stanchezza, invita i manifestanti a lasciarlo partire. Anche McHale pensa che quell’uomo infaticabile possa sentire la necessità di un po’ di quiete. Finalmente il comandante Moroni riesce a far salire Mattei sull’elicottero, scorge sul suo volto i segni della fatica e gli chiede come si senta. «Bene» sorride Mattei. «Speriamo di poter arrivare a Milano prima di sera». Sono le 16,45 quando l’Augusta-Bell atterra nell’aeroporto di Catania.
Appena sceso, al pilota Bertuzzi che subito gli è andato incontro, Mattei chiede: «C’è nebbia a Milano?» Bertuzzi risponde: «No. Ma il tempo è piovigginoso. Vuole fare tappa a Roma?». Mattei rimane in silenzio qualche secondo, si avvia lungo la pista, poi dice «No. Andiamo lo stesso. Non ho tempo da perdere». Bertuzzi sembra voler ripetere la proposta di far tappa a Roma, ma il Presidente dell’ENI ripete, come tra sé: «E’ meglio andare subito a Milano». Sorride nel dire quelle parole, la sua voce sembra tradire stanchezza. Irnerio Bertuzzi, pilota esperto, perse la vita al timone del Maurane Saulnier
Torna presso il gruppo delle persone che aspettano per salutarlo. McHale, intanto, porge a Bertuzzi la sua borsa. «Grosso torrone per miei bambini» gli dice ridendo. «Mi raccomando». Poi anch’egli si avvicina a quelli che restano.
Mattei saluta Giuseppe D’Angelo, gli chiede ancora se si ritiene soddisfatto per tutto quello che l’ENI ha fatto e sta facendo in Sicilia.
Poi saluta l’ing. Bignami, che deve ritornare a Gela. Stringe la mano ad altri, ai due motoristi che stanno in di sparte. Lo conoscono tutti all’aeroporto di Catania, anche il ragazzino del bar è lì vicino, a guardare. Anch’egli leva alto la mano quando Enrico Mattei, chiuso il tetto della cabina, insieme con McHale manda il suo ultimo saluto.
Sono le 17,25 quando l’I-Snam prende la corsa. Si alza nel fondo, già piccolo, come un giocattolo. Le prime ombre salgono verso le pendici dell’Etna, c’è brezza dal mare. Ma al nord piove, lo ha detto Bertuzzi.
E piove a dirotto sui campi intorno a Bascapè.
Ottobre 1963
«Qui si sta bene. C’è tanta quiete» diceva Enrico Mattei a chi lo accompagnava sulla collina di Montelungo. «Un giorno mi farò costruire una villetta, per passarci le mie vacanze».
La sera del 26 ottobre aveva indugiato più del solito a guardare il mare di lassù.
Ora, la strada nuova, per Montelungo, che lui aveva voluto, è quasi terminata. Passa sopra quella vecchia con un ampio arco sopraelevato, fra mandorli e ulivi.
Fonte: Ricordo di Enrico Mattei, numero unico, supplemento a Il Gatto Selvatico, n.10